L’artista Enrico Vendler si racconta.
Enrico Vendler ha 25 anni, è di Sassari e appartiene alla terza generazione di una famiglia di fioristi. La sua storia con i fiori nasce presto, quasi senza rendersene conto, tra la serra della nonna e il negozio di famiglia, dove il lavoro quotidiano ha preceduto la consapevolezza creativa. Solo con le prime esperienze fuori dalla Sardegna, in particolare a Firenze, quella familiarità si è trasformata in una passione vera e propria. Oggi Vendler affianca il flower design agli studi in medicina, due percorsi diversi ma uniti dalla stessa ricerca di equilibrio, ascolto e armonia.
Enrico Vendler, come nasce la sua passione per le composizioni floreali?
“In realtà la mia passione per le composizioni floreali non nasce subito in modo consapevole. I miei primi passi risalgono all’infanzia, quando capitava che mia madre mi lasciasse da mia nonna nella sua serra e io la aiutassi nel lavoro, pulendo i gerani: ancora oggi il loro profumo mi riporta a quei momenti. Poco dopo è arrivato anche il primo mazzo, realizzato nel negozio che aveva nel centro di Sassari. All’inizio mi sono avvicinato a questo mondo quasi per forza di cose, come naturale conseguenza di un lavoro di famiglia tramandato da mio nonno e arrivato fino alla terza generazione, la mia. I ricordi successivi sono legati soprattutto alle festività, nei chioschi di mia madre e di mia zia in viale Italia, a Sassari. All’inizio passavo semplicemente i fiori, poi sono arrivati i primi veri passi. Bouquet e composizioni su struttura, spesso più per esigenze di rapidità nel servizio al cliente che per reale consapevolezza creativa. Quando vivi qualcosa ogni giorno, tendi a darla per scontata. La vera passione è arrivata con la mia prima esperienza fuori dall’ambiente familiare e fuori dalla Sardegna, a Firenze, dove ho lavorato per Vincenzo D’Ascanio. Un’opportunità nata grazie a Tonino Serra, Artista del Fiore e del Design, a cui devo quella che è stata una vera epifania. È stato lui a farmi innamorare di qualcosa che avevo sempre avuto sotto gli occhi, ma che non avevo mai davvero guardato. Da lì ho continuato a formarmi attraverso l’esperienza, che considero il vero motore della crescita, lavorando con realtà e professionisti come Flowers Living, Alessandro Centini, Chiara Sperti, Tea Rose e Anthea Studio”.
Quando ha iniziato a dedicarsi al Flower Design?
“Il mio approccio al Flower Design è stato altrettanto naturale e graduale. È nato grazie alle persone che già mi conoscevano e che hanno avuto fiducia in me, affidandosi”.
Qual è il tipo di composizione floreale che ama realizzare?
“Idealmente mi piacerebbe lavorare sempre con una decina di varietà diverse di fiori, ricreando ciò che la natura ci propone: diversità, movimento e leggerezza. Seguo uno stile botanico, garden, e amo la fase di ricerca, così come il momento in cui arriva l’ordine dei fiori, che per me è sempre fonte di grande emozione. Amo i centrotavola, soprattutto quando possono essere letti come soggetti da quadri d’epoca, ma mi affascinano molto anche le sfide legate agli interventi floreali sui soffitti e alle installazioni più strutturate, come archi e grandi coppe. È proprio questa variabilità il bello di questo lavoro: dalla materia prima, che è viva, ai limiti imposti da budget, logistica, meteo, fino al gusto e alle richieste di chi ti contatta. Non a caso penso sempre più spesso che anche il fiorista o designer debba scegliere il cliente, e non solo il contrario, soprattutto quando la parola Art prevale sulla parola Work”.
Quanto tempo dedica mediamente alla composizione?
“Il tempo dedicato dipende ovviamente dal tipo di composizione. Una composizione formale richiede generalmente meno tempo di una libera, ma tutto è direttamente proporzionale al livello di concentrazione e di impegno necessario. Capita di realizzare più composizioni di seguito senza alcuno sforzo, quasi in uno stato di alienazione, e altre volte di ritrovarsi dopo due ore a sudare freddo, letteralmente, anche con quaranta gradi sotto il sole di agosto, cercando di capire come posizionare gli ultimi gambi e sognando, nel mio caso, uno spritz ghiacciato”.
Le sue creazioni intendono comunicare qualcosa oppure sono semplicemente estetiche?
“L’intenzione di comunicare qualcosa è la base di tutto. All’inizio del mio percorso di crescita personale sono stato, in un certo senso, il mio peggior nemico: non accettavo il mio essere esteta. Questo lavoro mi ha permesso di riconnettermi con la parte più creativa di me e di darle finalmente spazio. Non credo esistano cose effimere o superficiali. Per creare una composizione e donarla a qualcuno nel suo momento speciale servono speranza, fiducia, sogno e, soprattutto, amore per il tutto. Quel gesto diventa parte di te e, allo stesso tempo, tu diventi parte di quel momento. Ho sempre considerato le creazioni come un prolungamento di chi le realizza, con la consapevolezza che i fiori non sono eterni e che proprio per questo sono speciali e preziosi, come le cose immateriali che riempiono l’animo umano”.
In tale contesto, qual è l’intento di Enrico Vendler?
“Il mio intento è quello di ricreare atmosfere e rendere visibili sentimenti già esistenti. Penso, per esempio, a una corona d’alloro per un laureato: non è solo un insieme di foglie, ma il simbolo della fine di un percorso e dell’inizio di un altro. Potrei parlarne per giorni, chi mi conosce lo sa, ma spero di aver reso giustizia a quello che considero il nostro senso più importante. La vista, capace di plasmare i pensieri e, di conseguenza, il mondo che ci circonda”.
Dove sogna di arrivare con questa passione?
“Alterno momenti in cui mi concedo di sognare in grande ad altri in cui cerco di rimanere con i piedi per terra. Credo faccia parte del mio modo di vivere questo lavoro: lasciare spazio all’immaginazione, senza perdere il contatto con la realtà. Nel breve periodo sto lavorando a un progetto personale che spero possa prendere forma presto. Allo stesso tempo sento forte il bisogno di continuare a fare esperienza, lavorare per altri designer e realtà diverse, perché è lì che avviene la vera crescita, sia professionale che personale. Guardando più lontano, mi auguro di poter costruire una dimensione stabile anche al di fuori del flower design, arrivando ad avere un domani un mio studio medico. Parallelamente, mi piacerebbe dedicarmi al lavoro floreale in selettivo, concentrandomi su pochi eventi all’anno, scelti perché in linea con la mia visione. Inoltre, mi affascina l’idea di portare il fiore anche in contesti diversi, come quello della moda, un altro linguaggio che sento molto vicino. Per il resto, lascio che il percorso si definisca strada facendo: spesso è il lavoro stesso a indicarti dove puoi arrivare”.
Oltre alla passione per i fiori, lei è uno studente di medicina. Ci sono elementi in comune tra le due cose?
“Assolutamente sì. Oggi sono uno studente di medicina, ma ho intrapreso questo percorso con l’intento che, un domani, mi piacerebbe dedicarmi anche all’estetica in ambito medico. Mi interessa la ricerca dell’armonia nelle proporzioni del viso, lavorare su ciò che, esternamente, non sempre viene riconosciuto o accettato interiormente, da un mento retruso a un naso non gradito o a una ptosi palpebrale. In fondo, il principio è lo stesso che ritrovo nel lavoro con i fiori: osservare, ascoltare e intervenire con rispetto, cercando equilibrio piuttosto che perfezione. Di recente una collega fiorista mi ha detto che la sua spinta è portare bellezza nel mondo. Ho pensato subito che, in questo, non sarebbe mai stata sola”.
