Emanuele Ragnedda era drogato quando ha ucciso Cinzia Pinna.
Cinzia Pinna è morta ed Emanuele Ragnedda, tossicodipendente conclamato, le ha tolto la vita. Non esistono alibi, non ci sono giustificazioni: la responsabilità è della droga, che distrugge corpi, famiglie e destini. Ragnedda, erede di una delle cantine più rinomate del mondo, ha dilapidato il patrimonio di famiglia tra auto di lusso, yacht e sostanze letali, mentre Cinzia sparisce nel silenzio della tragedia.
Questa vicenda drammatica non è un caso isolato. Da Sassari alla Gallura, da Nuoro a Cagliari, fino alla provincia di Oristano, la droga avanza senza freni. Spaccio, consumo e criminalità crescono ogni giorno, come confermano i sequestri di cannabis, cocaina, eroina e hashish operati da polizia e carabinieri. Troppe volte si preferisce usare eufemismi: “malori improvvisi”, “incidenti”. Ma chiamare le cose con il loro vero nome significa affrontare il problema con coraggio.
La droga alimenta scippi, rapine, violenze e omicidi. Non è più tempo di tergiversare. La società deve reagire, proteggere le giovani generazioni e sostenere chi rischia di essere risucchiato da questa spirale di morte. Cinzia Pinna non può essere dimenticata: la sua morte deve diventare simbolo di una lotta che non ammette più silenzi né compromessi. Solo con azioni concrete, prevenzione e responsabilità collettiva si potrà fermare questo flagello.
La verità è una sola: la droga uccide, e ignorarla significa essere complici del dolore che lascia dietro di sé.

